SIMAFRA, dentro “la selva oscura”

Che tempo è il tempo dell’arte? Il tempo del dubbio o quello dell’affermazione? Quello della fatica o del riconoscimento sociale? La risposta la cercano tutti gli artisti, soprattutto quelli che, come Simafra, tentano ancora di uscire dalla propria “selva oscura”. Dopo quattro anni di introspezione, in cui tutto è stato rimesso in discussione, Riccardo Prosperi ha appena iniziato la sua rinascita.

Classe 1985, origini fiorentine, capelli neri, sguardo profondo, Simafra, nome d’arte, stimolato dai genitori, comincia a disegnare da bambino nel tentativo di esprimere le proprie emozioni e si avvicina all’uso del colore con grande sensibilità e dimestichezza.

Attorno ai sedici anni inizia a dipingere seriamente, a studiare disegno dal vero e si mette a bottega di decorazione e restauro. A diciannove già partecipa a diverse mostre collettive. Lavora duramente per galleristi e collezionisti privati in giro per il mondo: Londra nel 2013 (e per sei anni presso la Maddox Gallery), Roma, Beirut, Los Angeles. Arriva la notorietà, “momenti dorati” li definirà poi, che portano, come per un effetto domino, ad una inaspettata popolarità. “Tutto era estremamente abbondante”, racconta di quegli anni e proprio lì, in quell’illusorio apice di fama, Riccardo si domanda se smettere di dipingere.

Alla fine del 2019, alle porte di quella pandemia mondiale che ha alterato per lungo tempo le nostre vite, toglie le sue opere dalle gallerie, si ritira nella natura, tra le montagne dell’Appennino tosco-romagnolo e si chiude in isolamento.

Paura, inaridimento, perdita degli obiettivi, blocco creativo? Non sa dirlo neanche oggi con precisione, ma certamente racconta di avere sentito forte la necessità di ripensare la pittura, il suo più intimo significato, la sua connessione con la propria esistenza. E in fondo, di cosa è costituita la vera natura del pittore, se non di partecipazione e immedesimazione profonda con la materia della propria opera? Un’opera che non riguarda solo tela e colori, ma l’atto creativo in generale, la sua durata nel tempo lungo dell’infinito, la sua influenza e risonanza simbolica nella spiritualità del quotidiano.

Simafra è un pittore materico, e del resto la pittura è questione di materia, e gestuale. L’azione che egli compie per stendere il colore è un vero e proprio atto di restituzione, sulla tela, di ciò che il mondo ha proiettato nel suo animo.

Se passi la mano sulla superficie di un dipinto ti accorgi che qualcosa sta succedendo e allora devi provare a guardare più da vicino, a metterci il naso dentro. A tratti lo spessore aumenta, il colore si coagula, la materia urla disperata in attesa di essere domata. Ma subito dopo, diventa inesistente, sottile, diafana, trasparente, sembra scolare, quasi volesse mostrare lo scheletro di trama e ordito che la sostiene. Certo è una pittura genuina, oggi più consapevole di ieri, ma non mira al solo riconoscimento formale, vive e combatte la sua battaglia quotidiana per divenire autentica, senza sottrarsi al dolore e ai lati oscuri della ricerca continua e della sperimentazione ossessiva.

E il fruitore, vittima di un sortilegio o di una inspiegabile magia, viene risucchiato nelle viscere di quel lavoro certosino del pennello che, se qualche volta lascia tracce veloci e sicure sulla tela, più spesso ricorda l’antica origine del lavoro fiorentino delle botteghe cinquecentesche. I tratti sottili in oro o in bianco sembrano tessere preziosi tessuti che richiamano l’Oriente e diventano catalizzatori di simboli evocati.

Ho guardato a lungo le opere di Riccardo. Quelle di ieri e quelle di oggi. E sento forte questo passaggio, questa trasformazione. La lontananza dalle gallerie, dalle esposizioni, dai vernissage ha prodotto come effetto immediato una ricerca di spontaneità e semplicità che, se prima ha trovato appagamento in una vita lontano dai riflettori (ha allevato bestiame e fatto l’apicoltore), ha poi rivelato ancora più prepotente la sua vera natura.

Per un artista esiste un rapporto quasi mimetico tra il mondo ed i segni che lo descrivono, un rapporto di sangue e carne che va oltre il tangibile. Mondi lontani, paradisi perduti, realtà distopiche, scenari apocalittici. Il nuovo Simafra, un po’ Emilio Vedova, un po’ Hieronymus Bosch, somiglia ad uno sciamano e le sue ultime opere hanno qualcosa di magico e ancestrale. Ne riconosco i simboli, il mantra dei colori, le forme esoteriche. E intravedo in questa pittura realtà arcane e misteriose che non si percepiscono solo con gli occhi, ma con i sensi e con intuizione poetica. Il colore disegna immagini che non è necessario decodificare per comprendere che il sistema linguistico è parzialmente insufficiente a restituire la varietà di questo processo creativo.

https://simafra.com/

https://www.instagram.com/simafra/?hl=it

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