MICHAËL BORREMANS, la pittura come un film

Le opere di Michaël Borremans sono misteriose e di straordinaria qualità pittorica. Sulle tele inanimate si realizza un mondo parallelo, in cui combattono la loro battaglia anonimi personaggi beckettiani che non sembrano preoccuparsi di mostrare il disagio di chi subisce un destino oscuro e imprevedibile.

Incredibile pittore visionario, l’artista belga nato nel ’63 espone da diversi anni nei più importanti musei del mondo e dal 2000 collabora con la galleria Zeno X di Antwerpen. Numerose mostre lo hanno già visto protagonista ed interprete di situazioni narrative a metà tra realtà ed immaginazione. La verosimiglianza proposta dai soggetti raffigurati crea nello spettatore un senso di empatia (come scrive Jeffrey Grove) e lo invita ad identificarsi con ciò che è dipinto e per cui non c’è sempre una spiegazione logica. Anzi. I suoi lavori sono espressioni dell’inconscio che palesano enigmi e misteri di cui non viene chiesta la soluzione. Ci si può abbandonare in questa pittura, in questa inconfondibile e personalissima visione del mondo che, a tratti, appare fredda, asciutta, asettica ed inquietante. Borremans ha fatto della pittura il palcoscenico della sua immaginazione, per questo le sue figure sono dotate di un enorme potenziale illusionistico, così presenti nell’assenza totale di spazio e tempo.

The nude.2010

Celati da un velo di perfezione stilistica, su queste tele campeggiano personaggi trattati come nature morte, bloccati in una atmosfera silenziosa, ricercata e scarsamente illuminata. In proposito Borremans dice: “Il soggetto è un oggetto” e ancora “I colori forti creano un linguaggio proprio e questo non mi interessa.” Le sue figure dunque, trattate come categorie, tipologie iconografiche, spesso rappresentate su fondali architettonici o riprese in dettagli stretti, non guardano mai lo spettatore, ma sembrano volgere il loro sguardo altrove. Quell’altrove che viene a costituire una vera e propria dimensione parallela, in cui essi non prendono decisioni, non compiono azioni, ma aspettano. Aspettano in una realtà che forse è apparenza o in una apparenza che somiglia alla realtà.

Michaël Borremans ha iniziato a dipingere nel ’93, ma fino ad allora si è largamente servito del mezzo fotografico. Ancora oggi la fotografia è la base della sua pittura, insieme a fotogrammi di film o a immagini rubate dal web e dalla televisione.

I suoi quadri viaggiano nel tempo e non dimenticano la pittura passata, Manet, Courbet, Degas, Velazquez, Chardin, Goya, persino Rembrandt da cui sembra aver imparato la maestria del chiaroscuro.

La sua pittura è fortemente emozionale, a tratti nostalgica, sicuramente in grado di produrre turbamenti. “Il modo in cui un pittore usa la pittura vi parlerà di lui”, diceva Lucian Freud ed infatti, proprio grazie a questi straordinari esercizi di estrinsecazione dell’inconscio, si palesa un linguaggio rivoluzionario, in continua apprensione tra la fissità penetrante degli sguardi e la più straniante delle visioni. Nota ancora Grove, che la tensione irrisolta che crea la visione dei suoi quadri non ha molto a che fare con ciò che vi è rappresentato, quanto piuttosto con ciò che gli spettatori sono in grado di vedere. Anche se le immagini dipinte non sono pensate per essere fruite in un certo modo deciso a priori, ma attraverso un processo che ti obbliga a guardarle semplicemente per ciò che sono. La staticità delle rappresentazioni sembra confermare la loro esistenza in uno spazio intermedio, come se si trattasse di un non luogo a metà tra realtà fisica e metafisica.

The Skirt.2005

E’ l’artista stesso, nell’atto di dipingere, che conferisce vita, senso e significato ad oggetti essenzialmente morti. Dice in proposito: “It is an interesting contradiction. I paint everythings as if it is dead, but the painting is alive- as painting.” E se è vero che gli artisti contemporanei tendono ad evitare la natura idealizzante, l’aspirazione alla completezza e veridicità dell’immagine, a favore della vulnerabilità e della volubilità, allora è ancor più vero che Borremans sembra muoversi cauto e guardingo in un tempo reale in cui tutto è ben definito, tranne che in pittura. Tra le sue figure asettiche sembra esserci uno scambio analitico, piuttosto che emotivo e le azioni che compiono, totalmente prive di senso, sfiorano il limite dell’assurdo, come nella scena di un’opera teatrale.

Ha realizzato video che sono veri e propri film in pellicola (The Storm e The Feeding entrambi del 2006 ne sono un incredibile esempio) che hanno molto in comune con le opere pittoriche, soprattutto per una componente: il silenzio. Si tratta di film realizzati per essere fruiti come pitture, dove alla staticità dei primi, corrisponde la bidimensionalità delle seconde. Anche qui c’è la totale assenza di un criterio narrativo vero e proprio, a fronte di una evidente, fastidiosa sensazione di mancanza, assenza totale di tempo. Scrive in proposito Philippe-Alain Michaud: “Borremans’s effigies are film chimera to which the filmmaker-magician gives a hint of life lacking all interiority.” Infatti, continua Grove, nei suoi film i soggetti sono sculture, proprio come i film sono autentiche sequenze di pittura.

The Preservation

La critica contemporanea ha molto parlato anche di quella vena di sadismo, quell’equivoco potenziale di inchiesta insito in ogni suo lavoro. Di certo aleggia seminascosto il tema della morte che forse aiuta ad esternare il lato oscuro dell’interiorità, senza paure o falsi moralismi. Emerge una personalità complessa, un’anima sensibile ai temi e ai tempi attuali e che, anziché farsi travolgere dalla frenesia compulsiva tipica dei nostri giorni, tende piuttosto ad isolare i movimenti dalla sfera delle emozioni, per ripeterli finchè assumano una vita propria. Una sorta di commedia slapstick (nata infatti con il cinema muto) in cui il corpo è destinato a sopportare una serie interminabile di incidenti, riuscendo sempre a sfuggire alla definitività della morte.

http://www.zeno-x.com/artists/MB/michael_borremans.html

 

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