INCONTRO – INTERVISTA CON CATTERINA SEIA

L’idea che la cultura  sia un valore assoluto, che va difeso al di là delle possibili ricadute produttive e che le attività culturali, sebbene non generino direttamente profitto, riescano a creare effetti positivi per il turismo, il commercio e l’economia di un paese, sono solo alcuni dei principi ispiratori dell’attività lavorativa, fruttuosa e coerente, di Catterina Seia.

Responsabile del Learning Center e della Direzione Centrale Comunicazione integrata di Banca CRT e di UniCredit Private Banking, ha ideato e condotto per svariati anni il progetto strategico UniCredit & Art, pensato per la gestione integrata degli investimenti culturali del noto Gruppo bancario a livello internazionale.

Oggi, che “da cittadina del mondo è diventata donna della Provincia”, prosegue la sua personale ricerca come cultural manager indipendente, per la promozione di progetti di sviluppo sociale e territoriale, sempre attraverso la cultura.

Avere avuto il privilegio di incontrarla a Roma, in occasione della fiera The Road to Contemporay Art, ci ha dato la possibilità di constatare di persona quanta intelligenza, eleganza, sensibilità e cultura siano racchiuse in questa protagonista della scena artistica internazionale.

3_Castello di Rivoli_seminario

Cominciamo con il passato. La sua esperienza con UniCredit. Qualche cenno, qualche ricordo. Il suo rapporto passato e presente con il Gruppo, con l’amministratore delegato Alessandro Profumo.

E’ stata straordinaria. Operare in un Gruppo paneuropeo, multiculturale, attento ai talenti e all’innovazione è un grande privilegio.

UniCredit & Art nasce nel 2004, in un momento di forte espansione internazionale del Gruppo, non solo dalla necessità di ottimizzare gli investimenti culturali, ma dalla consapevolezza che la cultura, se gestita come leva strategica, sia uno dei principali agenti di sviluppo sociale ed economico sostenibile. Interesse di un attore economico, per il suo successo nel tempo, è operare, appartenere a contesti vitali. La cultura li rende tali. E’ costruire dialogo con la comunità, partecipare attivamente alla sua crescita.

Il progetto che ho condotto fino al dicembre 2009, è stato  fortemente voluto e seguito dai vertici, da Alessandro Profumo che ha una profonda sensibilità verso queste tematiche. Ha dato valore e vita ad un patrimonio artistico e storico straordinario, aggiornato con i linguaggi del presente: un asset economico rilevante, ma in primo luogo un capitale simbolico, un patrimonio d’identità che riflette le storie delle realtà confluite del Gruppo, nel quale riconoscere e riconoscersi. Uno strumento di dialogo dentro e fuori l’impresa. Un patrimonio che è cresciuto con le giovani espressioni, sostenendo la ricerca anche nelle arti e cooperando con il sistema, valorizzandone le eccellenze, partendo dalle accademie e dai musei, per noi molto più di luoghi di conservazione e veri laboratori di pensiero.

Muovendoci controcorrente, abbiamo rifuggito obiettivi di comunicazione di breve durata per puntare sulla costruzione di partenariati con le istituzioni territoriali e culturali, a favore di progetti di lungo termine volti in primo luogo a favorire l’accessibilità alla cultura ad un pubblico sempre più ampio e consapevole. Progetti ai quali conferire, oltre alle necessarie risorse finanziare, le competenze e la rete di relazioni proprie di un’organizzazione internazionale.

Un modello semplice, che ha interessato le università ed è stato seguito da molti.

Un ciclo si è compiuto. Ora il progetto è integrato nella struttura organizzativa. Sono state costruite competenze sia in ambito curatoriale, che di management culturale. L’arte è finalmenete parte della cultura d’impresa, del rapporto con i territori.

Ci racconti del suo rapporto con l’arte e con gli artisti. Come si è evoluto?

Le arti sono state parte integrante del mio percorso di crescita. La musica. Le arti visive. La letteratura. Il rapporto con l’opera, l’esperienza dell’arte riguardavano la mia dimensione privata. Come direttore della Comunicazione seguivo la relazione tra cultura e impresa con i modelli della sponsorizzazione e delle pubbliche relazioni, fino all’incontro con gli economisti della conoscenza, che mi hanno fatto comprendere quanto fosse anacronistico e riduttivo l’approccio.

Dalla frequentazione degli artisti, dall’essere presente nel momento dell’arte nel suo “farsi” -privilegio per me oggi irrinunciabile – ho intuito quanto la cultura possa fare per lo sviluppo del potenziale dei singoli anche in termini organizzativi e sia ancora sottostimata come risorsa.

Mi riferisco in particolare ai linguaggi artistici contemporanei che ci portano il nuovo, la discontinuità rispetto a codici consolidati. Con il grande contenuto di metafore, sono “una palestra” per l’accelerazione dello sviluppo delle qualità manageriali e più in generale per le competenze organizzative:  osservare e guardare, comprendere e valorizzare la diversità – vera ricchezza del nostro tempo –  interpretare contesti sempre più instabili, complessi e glocali, come gli attuali, moltiplicare i punti di vista. Favorire quindi il miglioramento continuo, l’innovazione. Vedendo mondi possibili, viene stimolata la nostra apertura mentale, la capacità di generare l’inedito, trovare nuove soluzioni. Avendo diretto a lungo un centro di apprendimento manageriale è stato naturale condurre una ricerca applicata  sull’art based learning, pratica che si è diffusa come ad esempio in C4, il centro nella Villa palladiana di Caldogno, nella quale imprenditori e dirigenti della pubblica amministrazione lavorano su temi organizzativi con artisti e curatori.

La mia collaborazione con UniCredit prosegue oggi con Unimanagement, il centro di sviluppo della Leadership situato a Torino, proprio in questo ambito, nell’apprendimento organizzativo attraverso la cultura.

Riesce a vedere in quale direzione sta andando l’arte?

Trent’anni fa usciva il libro del filosofo francese Lyotard che sanciva l’ingresso nel tempo del pensiero debole, della leggerezza, dell’effimero. Il postmoderno che, come dice il filosofo Maurizio Ferraris, pare non finire mai. Un’epoca di fragilità “densa” che leggiamo nella politica come nell’economia, dalla quale dobbiamo essere in grado di uscire anche e soprattutto attraverso il pensiero degli intellettuali, degli artisti, di coloro che vedono oltre. L’arte come codice per comprendere la contemporaneità, sentirsi parte, condurre e prevederne gli sviluppi.

Il boom del mercato dell’arte, con riferimento speciale all’arte visiva contemporanea, ha portato con sé distorsioni, autoreferenzialità e squilibri nei rapporti economici fra beni, comunque “raffreddati” dalla crisi che, nell’ultima Basilea, si è sentita quasi superata.

Il passaggio dall’economia dell’informazione all’economia della conoscenza porta a dare nuova enfasi ai processi creativi e di generazione dell’innovazione. Nella culturalizzazione delle forme produttive e di scambio, l’arte è fonte non solo di arricchimento dell’immaginario, ma soprattutto di supporto al cambiamento.

Molti sono gli artisti, anche italiani, che conducono straordinarie ricerche di carattere sociale e che testimoniano come l’arte possa agire un ruolo di trasformazione. Tra quelli che seguo più direttamente ci sono non solo grandi Maestri come Michelangelo Pistoletto, Alfredo Jaar, Tania Bruguera, Pablo Helguera (artista indipendente che dirige la sezione adulti del dipartimento educazione del Moma), ma anche giovani. Solo per citarne alcuni del nostro Paese: Alterazioni Video, Francesco Jodice, Adrian Paci, Pietro Ruffo…Con le contaminazioni, l’interdisciplinarietà dei linguaggi caratterizza il nostro tempo.

Quale “linguaggio” espressivo preferisce: pittura, fotografia, scultura, video, installazioni… La più interessante giovane proposta ed il prossimo paese emergente.

Credo non sia rilevante decontestualizzare il mezzo dal messaggio. In ogni caso tendiamo a consumare continuamente video e suoni digitali, siamo abituati alla velocità, al limite di dieci minuti imposto da YouTube e riportiamo quest’abitudine anche nel nostro modo di muoverci tra le opere d’arte. Siamo figli della fotografia e dell’integrazione tra linguaggi.  Alcuni mezzi possono essere più o meno familiari. Molte nuove proposte interessanti vengono proprio dal video-making. Mi interessa l’arte partecipata, che coinvolge le comunità nella costruzione di orizzonti di senso.

Osservo con attenzione i nuovi artisti spagnoli e svedesi, per gli investimenti elevati che questi  Paesi riservano ai giovani talenti. A livello internazionale, il Brasile.

Come è posizionata l’Italia rispetto all’Europa e al mondo a proposito del rapporto tra arte ed economia? Cioè, viene incentivata la cultura grazie al sostegno economico dello stato?

Il fenomeno dei tagli alla spesa in cultura non riguarda solo il nostro Paese e deriva principalmente dalla crisi generalizzata che conosciamo che impone piuttosto una focalizzazione sul welfare. Molti altri Paesi europei stanno affrontando lo stesso scoglio.

Negli scorsi anni si è guardato tanto ai modelli oltralpe, alla gratuità delle collezioni permanenti dei musei inglesi, alla diffusione di vaucher in spesa culturale per gli studenti olandesi…Tutte proposte basate sull’idea che la cultura sia un bene pubblico e che, pertanto, debba esserne stimolata la domanda, specialmente per quelle fasce di popolazione a bassa capacità di spesa, come i giovani.

Oggi la questione è andata oltre, nel senso che si è compreso quanto lo stimolo del consumo culturale sia primariamente un fatto di educazione familiare e scolastica, dove la fruibilità gratuita gioca un ruolo secondario.

Guardiamo ora alla Svezia e al suo investimento straordinario, in tempi di crisi, sul sistema scolastico: questo Paese non ha agito unicamente per migliorare la preparazione accademica dei suoi talenti, ma per ottenere una cittadinanza aperta al cambiamento, all’innovazione, all’evoluzione del pensiero. Anche la Spagna, nonostante la pesante crisi economica, non osserva i traguardi raggiunti con autocompiacimento ma investe sul futuro, con una chiara comunicazione.

L’Italia dovrebbe oggi guardare a questo modello e ripensare al ruolo della scuola nell’educazione all’arte e alla cultura, premiando i programmi di life-long learning per le famiglie.

Allo stesso tempo, le istituzioni culturali devono gestire le risorse, scarse per definizione, sapientemente e con una strategia di lungo periodo. Questo non significa solo saper redigere un budget o essere ottimi fundraiser. Significa riflettere sul percorso, individuare un posizionamento, forse ridurre gli eventi, ma agire con maggiore profondità già in sede progettuale, per coinvolgere più attori, la comunità, in primis i giovani, ma anche gli adulti nella fruizione dei contenuti.

5_C4 Caldogno. Percorso “Confini creativi”

Che idea si è fatta del collezionismo?

Il collezionismo gioca un ruolo fondamentale per il sistema dell’arte, specialmente quando è aperto alle giovani proposte, ne alimenta la crescita, sostiene la ricerca. Il privato interviene sempre più frequentemente a supportare il pubblico.

Si parla spesso, anche in un recente ciclo di conferenze durante la fiera di Roma, di neo-mecenatismo. Come ho avuto spesso occasione di dire, ribadisco che richiamarsi alla dimensione del mecenatismo è facile e seducente perché stabilisce un parallelo esplicito con la munificenza dei principi rinascimentali, ma credo che sia un atteggiamento un po’ nostalgico e lontano dallo spirito del nostro tempo. Un modo di guardare al presente attraverso lenti modellate sul passato. Oggi l’arte ha un forte radicamento economico e gli artisti operano spesso sul mercato globale. Mi preoccupa un aspetto della crescente popolarità del collezionismo: la sempre maggiore propensione ad evidenziarne l’aspetto esteriore, la costruzione di un’identità basata sull’apparenza, sul possedere determinate opere e sull’esibire tale possesso.

Comunque non va dimenticato che le collezioni, anche private, sono capaci di restituire alla società un valore immenso. In occasione dell’appuntamento europeo di Basilea, ho nuovamente visitato la Fondation Beyeler. La collezione permanente posta in dialogo mirabile con le opere di Gonzales Torres, è un esempio tangibile di quanto l’azione privata possa trasformarsi in un bene condiviso dalla comunità, non solo locale ma globale.

L’arte degli ultimi anni è “arte dei grandi numeri”. Si compra ciò che è più caro, solo perché è di moda. Che ne pensa?

Nel momento in cui l’arte è allineata al sistema economico è perfettamente logico che ci siano fenomeni di crescita del prezzo all’aumento della domanda e viceversa. Come abbiamo detto l’arte contemporanea si è rivelata anche come status.

Si è poi diffusa una tendenza naturale al talent scouting e a considerarsi esperti conoscitori dell’arte contemporanea grazie a qualche comparsata nei posti giusti, nei momenti giusti. Credo che il lavoro e la professionalità dei gate-keepers – i galleristi, i curatori, i musei, i centri per l’arte contemporanea – abbiano un ruolo e una responsabilità fondamentale nell’educare i collezionisti e il pubblico, non tanto al gusto, quanto al valore della ricerca, dell’approfondimento, perché la conoscenza sia la vera e unica risorsa per scegliere liberamente.

Il punto di vista prettamente commerciale dell’arte contemporanea è, tuttavia, solo uno degli aspetti della sua contestualizzazione sociale. Esistono le gallerie, esistono i musei. Esistono i collezionisti privati e grandi collezioni a disposizione del pubblico. Ritengo che siano molto rilevanti i processi di restituzione alla collettività e a più ampie fasce di popolazione di quella grande risorsa che l’arte rappresenta per la crescita.

L’arte contemporanea non è diventata troppo sensazionalistica, mediatica a svantaggio del senso, del significato? Troppo contenitore e non contenuto?

Certamente il mondo in cui viviamo ci propone una massificazione dell’informazione, dei messaggi. Oggi, paradossalmente, assume maggior valore non comunicare affatto, concentrandosi sul contenuto più che sulla forma.

“La ‘sacra’ comunicazione oggi tanto venerata, non può che generare un rumore di fondo così continuo e uniforme da distogliere la necessaria e serena attenzione per quel richiamo lontano irraggiungibile, chiamato silenzio”. Giulio Paolini, Detto (non) fatto, 2010 Castello di Rivoli.

Anche l’arte contemporanea ha vissuto questo fenomeno. Molte istituzioni stanno lavorando ora non solo per uniformare calendari, ma per co-progettare, fare massa critica nella ricerca, costruire reti di scambio internazionale, per condividere con il pubblico qualità.  Lavorare su progetti comuni investendo competenze diverse e complementari.

Vedo comunque un ritorno concettuale forte, molto nutrito, di riferimenti ad altri linguaggi. La tecnologia espande i sensi e le possibilità. La nuova ricerca presenta lavori più difficili, che richiedono più attenzione. C’è un ritorno a meditare sul passato recente più ricco. Seguo con attenzione il lavoro di Lara Favaretto che va in questa direzione. In molti casi abbiamo concessioni visive anche con materiali e ricorsi iconografici semplici, quasi pop, ma nella profondità il messaggio è più complesso da comprendere, come lo è sempre la ricerca.

Con l’attuale crisi ancora in corso, cosa pensa accadrà al settore, sempre così sacrificato, dei beni culturali?

Dobbiamo fare i conti con le affermazioni del Ministro Bondi, che sostiene che la cultura non deve più pesare sull’economia dello Stato. Le politiche fallimentari dei tagli alla spesa in cultura dimostrano come occorra identificare processi di finanziamento più efficienti, che possano supportare le istituzioni nel raggiungimento di finanziamenti privati complementari.

E proprio in momenti come questo, di grande complessità, occorre investire, ma  è necessario essere selettivi, coinvolgere già in sede progettuale più attori, immaginare e proporre nuove soluzioni che permettano alle istituzioni culturali non solo di sopravvivere, ma di acquisire un ruolo di primo piano all’interno del sistema socio-economico, per la produzione di contenuti.  Occorre però una chiara comunicazione al pubblico: l’investimento in cultura, se gestito in modo strategico e rifuggendo ciò che chiamo il “mostrificio”, ovvero la proliferazione di eventi, è un antidoto alla crisi, non è leisure, intrattenimento, ma è produzione di idee, che non sottrae budget al settore assistenziale.

Come accennato prima, la riflessione che alcune istituzioni stanno portando avanti per aggregarsi e lavorare insieme sui propri territori, prima che sull’arena globale, è una strada giusta per attrarre e rafforzare la comunità che non è di passaggio, ma che è radicata nel luogo e che dall’abitudine al consumo culturale può innovarsi esponenzialmente. Per creare un pubblico sempre più ampio e consapevole.

Voltiamo pagina. Cosa pensa del colosso MAXXI, del nuovo Macro e dell’idea di far diventare Roma un “centro vitale” per l’arte contemporanea?

I presupposti sono validissimi. Roma è nell’immaginario collettivo del mondo. Capitale. Unica. Restituirle un ruolo di centralità nella produzione e distribuzione di pensiero contemporaneo può avere efficacia per l’intero Paese.

Il museo nazionale è il grande, affascinante segno dell’architettura del presente nel quale riconoscerci. La sfida sarà farlo diventare un hub, un laboratorio interdisciplinare.

Il museo della città sottolinea molti aspetti fondamentali. Nell’architettura, nelle due sedi, dà nuova vita ad aree di archeologia industriale, riqualifica spazi urbani.  Nel modello gestionale, ci ha dato prova di che cosa significa costruire il proprio pubblico,  mettere a sistema le diverse competenze del territorio, condividendo risorse, razionalizzando gli investimenti, facendo emergere una pluralità di attori coinvolti in un progetto comune.

L’attenzione è stata tantissima, dovuta alla lunga gestazione. Copertura mediatica e pubblico senza pari in Italia sul contemporaneo, per l’inaugurazione. Ora lasciamoli lavorare e gustiamoci la programmazione…

Come nasce il progetto SusaCulture? E, prima di salutarci, quali interessanti programmi ha per il futuro?

Ai miei cinquant’anni ho deciso di mettere al servizio delle comunità l’esperienza maturata nel management culturale, per progetti di sviluppo locale.  Da cittadina del mondo, sono diventata la “donna della Provincia”.

SusaCulture nasce come progetto e diventerà una fondazione a capitale privato e a governance mista. La Valle di Susa è paradigmatica, anche perché possiede in sé tutte le stratificazioni culturali della storia millenaria dei nostri territori, un patrimonio antropologico, naturalistico e storico-artistico. Vive una crisi economica, un’evoluzione sociale ineludibile con il flusso dei nuovi italiani ed è nota ora più per le tensioni relative alla No Tav che per essere stata sede delle Olimpiadi invernali.

4_I giovani studenti di Susa percorrono il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto

SusaCulture  è un facilitatore, una fucina di pensiero, alla quale ha risposto prontamente il mio network di relazioni.

Si muove con un approccio partecipativo che coinvolge la comunità nel suo stesso processo di crescita, con i giovani e per i giovani,  a supporto della pubblica amministrazione e delle istituzioni scolastiche, per rafforzare le competenze, la visione, le relazioni e quindi per creare futuro.

Alcune azioni esemplificative. Il primo atto è stato un protocollo di intesa con il liceo che segue 800 giovani, per la costruzione di competenze trasversali, che si è aperto con  Extra Urbem, un programma di confronti progettuali con i produttori di pensiero del nostro tempo. Primi ospiti: Michelangelo Pistoletto e Pier Luigi Sacco. Due ragazzi di SusaCulture, unici italiani residenti a Cittadellarte nel programma UNIDEE, stanno ora lavorando sul progetto dei beni faro del distretto culturale territoriale, a supporto degli amministratori. Giovani e pubblica amministrazione,  insieme. Binomio vincente.

Dalla Trento School of Management due masteristi costruiscono la biblioteca con i giovani del liceo, una piazza del sapere, partendo da un nucleo di 2800 volumi d’arte. E ancora tre libri di ricerca in distribuzione entro l’anno…

Infine, per questa mia attenzione ai territori locali, sono stata coinvolta da diverse amministrazioni, che hanno caratteristiche analoghe a Susa. Un’anticipazione: Provincia Italiana, evento collaterale con il quale i saperi e le intelligenze che gravitano intorno alla Biennale di Architettura “tracimeranno” per la prima volta localmente, nel Veneto, nelle aree di archeologia industriale, negli edifici storici in cerca d’autore, con workshop e progettualità, per un ri-pensamento urbanistico.

2_Catterina Seia_ritratto

Ci salutiamo, ci lasciamo. Con il cuore e la mente colmi di speranze, buoni propositi. E tanta rinnovata fiducia nel lavoro di chi ha scelto consapevolmente di fare “buona cultura”.

 

 

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