IL MITO di Marc Quinn

Se negli anni Settanta e Ottanta gli artisti lavoravano sul rapporto tra arte e socialità, denunciando ideologicamente il proprio vissuto o dichiarando il proprio coinvolgimento nell’attività politica, la generazione successiva, negli anni Novanta, aveva faticosamente tentato di stabilire un rapporto organico col sociale, intervenendo sulla sfera esistenziale e dei rapporti interpersonali.

4_Phitochemical equilibrium, 2007, Olio su tela, 170 x 260 cm, Collezione privata, Courtesy Byblos Art GalleryNel nuovo millennio le cose cambiano ancora. Gli artisti dei giorni nostri, più consapevoli d’essere in possesso di un canale privilegiato d’espressione, parlano ai contemporanei attraverso la rappresentazione dell’astrazione. Sembra cioè, che il reale e l’immaginario coesistano e che, in una sorta di impraticabile percorso, si riescano a collegare virtualmente. Marc Quinn è maestro nell’attraversare queste vie. Il suo linguaggio unisce tradizione e innovazione e grazie all’eccezionalità del paradosso, evoca sospensione temporale, transitando verso l’incognito.

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Nato a Londra nel 1964, protagonista della Young British Art, raggiunge la notorietà negli anni Novanta con opere abbastanza sorprendenti come Self, una riproduzione della sua testa ottenuta con l’ausilio di cinque litri del suo sangue congelato. Ha praticato contemporaneamente la pittura e la scultura. Ha studiato l’antico traendone icone della bellezza che vanno oltre la perfezione percettiva. Interessato alla purezza dei materiali (il marmo bianco, l’oro massiccio, i bronzi cromati e laccati, la semplicità dell’olio sulla tela), sconta un eccesso di sensazionalità mediatica con la scelta di soggetti freddamente realistici e volutamente stranianti. Gigantografie di fiori, piante che sembrano carnivore, corpi focomelici. Riflette da sempre sui temi di natura, morte e vita ed affronta con coraggio tematiche di grande interesse e attualità. 7_Waiting for Godot, 2006, Bronzo dipinto, 77 x 36 x 76,5 cm, Copyright Marc Quinn, Courtesy Byblos Art GalleryChi lo conosce personalmente, descrive il suo studio affollato di disegni, schizzi, studi, progetti. Insomma, uno che della pratica del fare quotidiano ha fatto il suo diktat. Fino alla fine di settembre molti dei suoi lavori si potranno ammirare a Verona, nella dimora di Giulietta, dove costituiscono un evento collaterale alla 53^ Esposizione Internazionale d’Arte, Biennale di Venezia. Qui il pubblico avrà la possibilità di scoprire il lavoro di Marc Quinn attraverso una ricca selezione di opere organizzata in un percorso dinamico ed entusiasmante all’interno della città, avendo netta la sensazione di compiere uno straordinario viaggio nell’attualità, nel contingente frammentario e fuggevole, nel mito.

Interessato alla conservazione ed al mantenimento delle forme viventi, per preservarle dall’invecchiamento, l’artista opera sul contrasto dinamico tra l’eternità intrinseca nella natura e la sua incarnazione, che è poi anche la nostra. Questo spiega il “valore” dato alla scultura, che per Quinn è materia viva, dotata di grande potenzialità di cambiamento. Ad ispirare le sue controverse realizzazioni, c’è anche un enorme interesse per “un corpo e la sua immagine che si separa.” Per questo basta ricordare quel giardino ghiacciato (Garden, 2000, Fondazione Prada, Milano) che persino gli addetti ai lavori, i fonditori, avevano creduto impossibile realizzare. E invece immergendo i fiori nel silicone congelato, era riuscito ad ottenere sculture di fiori composte della stessa intrinseca sostanza, gli atomi, del fiore fresco. Aveva insomma decostruito per ricostruire, annientato per lasciare vivere ormai per sempre.

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In un processo dunque di accelerazione, che ha da tempo superato il virtuosismo tecnicistico, il suo sistema comunicativo è fortemente proiettato in avanti, frutto di continui cortocircuiti, al punto da modificare l’approccio all’arte e ad ogni forma nota di dinamica conoscitiva della realtà. In questa indefinita porzione di spazio, dove tra verità e finzione alberga sovrano il dubbio, si colloca il lavoro dell’artista, il suo credo, la sua espressione.

Marc Quinn, consapevole del peso della storia dell’arte passata, svuota ogni tipologia di tradizione formale e, come scriveva Cesare Brandi in un suo noto testo, “sottrae quello che è basilare nell’immagine, la sostanza conoscitiva in una con la figuratività,  sostituendo un gioco di personali allusioni, esplicitazioni e divagazioni, tanto più inviolabile quanto più ineffabile.” 5_Reuters_Marc Quinn

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