MARK ROTHKO e l’esperienza tragica della pittura

Intellettuale, pensatore, uomo di grande cultura, Rothko amava la musica e la letteratura, si interessava di filosofia, in particolare delle opere di Nietzsche, e di mitologia greca. Chi lo conosceva lo definiva irrequieto ed irritabile. Un uomo dal carattere difficile.

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Il Palazzo delle Esposizioni, a Roma, questo autunno ha celebrato la sua riapertura, dopo anni di restauri, proprio con un evento dedicato a questo gigante dell’arte contemporanea. Fino al 6 gennaio 2008, infatti, circa una settantina di dipinti (provenienti dagli eredi legittimi, da collezionisti privati, nonché dai più grandi musei del mondo) saranno esposti in una mostra monografica dedicata al grande artista di origine russa.

Rothko fu uno dei protagonisti di quel gruppo di pittori americani chiamati gli espressionisti astratti che, in epoca postbellica, per la prima volta, aveva assunto la valenza di un movimento di fama internazionale. Sarà il primo, in seguito, a smentire questa definizione. In realtà appartenne con maggiore condivisione d’intenti alla seconda corrente principale dell’espressionismo astratto (ma neanche questa etichetta condivise), cioè alla Colorfield Painting, intesa come pittura delle campiture, in cui la forza emozionale del colore e non l’azione, il gesto, assumeva un ruolo predominante.

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In 45 anni di attività, Rothko ha attraversato quattro fasi ben distinte: una fase realista, una surrealista, una di transizione ed una classica. I dipinti della maturità, così caratteristici, i più noti al grande pubblico, superavano di gran lunga la pura astrazione.

Per l’artista l’esperienza tragica era l’unica vera fonte artistica ed i suoi lavori evidenziano chiaramente il desiderio di creare sulla tela uno spazio spirituale, in cui tragedia ed estasi riescano a convivere come condizioni essenziali dell’esistenza. Sua intenzione, infatti, era di dare espressione al dramma universale dell’umanità.

Questa retrospettiva su Mark Rothko, a cura di Oliver Wick, si presenta quindi come l’ultima ed unica occasione per vedere riunite così tante opere di uno dei più grandi artisti del secolo.

La mostra punta l’attenzione, nella sua prima parte, a quei dipinti più piccoli che eseguiva con la preparazione a gesso, evidenziando con chiarezza il desiderio di recuperare la tecnica dell’affresco e di misurarsi con essa. Palese è l’interesse per l’arte italiana del Quattrocento, in particolare Beato Angelico, e per la lunga e gloriosa tradizione rinascimentale. Si procede poi con i noti Multiforms, per passare ai Blackforms, che concludono la sua lunga carriera. Gli ultimi lavori erano stati realizzati non più ad olio, ma con colori acrilici su carta e tela. Erano cupi ed ermetici, un po’ come era diventata negli ultimi anni la sua più intima natura.

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A 66 anni, infatti, nel 1970, Rothko si suicida, non solo tagliandosi i polsi, ma anche a seguito di una forte intossicazione da antidepressivi. Le difficoltà esistenziali dei suoi ultimi anni si leggono chiaramente nei suoi lavori e si possono riconoscere come responsabili della sua indubbia metamorfosi coloristica. A questo proposito, ci piace ricordare le parole di Gillo Dorfles: “(…) dagli squillanti rossi, arancioni, gialli, abbiamo assistito a una discesa agli inferi: del blu-verde, del grigio, fino al nero. Con lo spegnersi forse di quell’esaltazione cosmica che i rigori dell’esistenza quotidiana avevano offuscato.”

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